Storia della Coltivazione del Riso Vercellese dagli Inizi a Chicchediriso ( parte terza )

La coltivazione del riso ha contribuito in modo determinate, nel trascorrere del tempo, alla trasformazioni territoriali e sociali sia nel Vercellese che nelle altra zone della pianura coinvolte.

risaia allagata

I cambiamenti della distribuzione della proprietà di terreni destinati alla coltivazione del riso, nella seconda metà del 1800, a vantaggio dei piccoli coltivatori avevano modificato parzialmente gli antichi equilibri della società piemontese.

L’egemonia dei grandi proprietari fondiari non fu però alterata. Essi erano detentori di maggiori rendite, e della quasi totalità delle cariche amministrative.

Nonostante l’introduzione di nuove imposte dirette durante il periodo cavouriano, l’imposta sui terreni rimase sostanzialmente stabile.

Il collocamento all’estero dei prodotti piemontesi, quali riso, sete e vini , contribuiva ad alimentare, nel periodo successivo al 1860, una sempre più fiorente corrente di scambio.

Successivamente, intorno agli anni ’80 la continua espansione di piccoli e medi produttori è la causa di un rallentamento dei tempi del processo di sviluppo mercantile delle campagne.

lavori sull'aia

Le famiglia costituiva il perno fondamentale dell’attività produttiva.

Il forte spirito di compattezza e di coesione della famiglia contadina era sinonimo di autosufficienza, più che di incremento delle risorse.

Tuttavia la ricerca di accessi diretti o di più ampi spazi di mercato progrediva regolarmente.

A cavallo del 19° e 20° secolo

Nel periodo tra gli ultimi anni del 1800 e i primi del 1900 la pianura vercellese subisce una decisa trasformazione.

I terreni fino a quel momento occupati da bosco ceduo, le zone paludose e i gerbidi vengono sostituiti da campi livellati e da risaie. Le stesse assumono una conformazione molto simile a quella odierna.

In Piemonte, ed in particolare nel Vercellese e nel Novarese, la superficie coltivata a riso arriva ad occupare il 98 % dei terreni coltivati.

L’incremento della produzione del riso e la ripresa delle esportazioni, soprattutto verso Argentina e Stati Uniti, concomitanti con l’aumento del prezzo, aveva fatto superare la recessione economica di fine Ottocento.

La mezzadria era pressoché scomparsa e si rafforzarono le grandi imprese agricole a gestione capitalistica.

La resa dei terreni destinati alla coltivazione del riso era notevole. I profitti per gli affittuari e i grandi proprietari erano saliti considerevolmente. Per contro, i compensi per i salariati non erano aumentati, ed il tenore di vita della parte contadina era molto basso.

Trapianto del riso

Tra il 1870 ed il 1880 iniziarono a fiorire le prime industrie di pilatura e brillatura, questo anche grazie all’importazione di riso asiatico.

Infatti con l’apertura del Canale di Suez, e con i bassi costi di trasporto, arrivarono in Europa grandi quantità di riso asiatico.

Ovviamente questi andarono in concorrenza con quelli italiani.

La coltivazione del riso agli inizi del ‘900

Agli inizi del ‘900, il superamento della crisi economica, contestualmente ad un notevole rinnovamento delle pratiche agricole, determinò la fortuna delle grandi tenute.

Infatti, con l’introduzione di nuove varietà maggiormente produttive insieme ad una più razionale gestione delle rotazioni, si ebbe un aumento considerevole della resa per ettaro, fino a tre volte maggiore rispetto al 1840.

La concomitante esplosione di una epidemia di brusone ( fungo patogeno che aggredisce la pianta di riso) andò ad aggravare un contesto alquanto negativo.

Dopo il 1870, successivamente al completamento dell’unità nazionale con la presa di Roma, incominciarono a farsi più forti le richieste di forme di protezione di vari settori produttivi.

Si moltiplicarono le richieste di protezionismo anche da parte del mondo agricolo, attraverso la voce di alcune organizzazioni.

Come esempi la Società agraria milanese, in compagnia di altre, e le Associazioni di agricoltori, ed alcuni Comizi agrari.

La crisi agraria di fine Ottocento

Si era ormai nel pieno di quella che è ricordata come la grande crisi agraria dell’Ottocento.

Verso la fine dell’Ottocento la risicoltura italiana, e con essa quella del Vercellese, si trovò costretta a rivedere i comportamenti tradizionali.

Si intervenne sulle pratiche colturali, sulle rotazioni agrarie, sulle varietà coltivate, sulla qualità del prodotto, sui concimi, sugli strumenti e le macchine.

riso sull'aia

Si attuarono innovazioni, iniziò una nuova concezione di agricoltura, e nel primo decennio del novecento anche la crisi di fine ottocento sembrava superata.

La superficie coltivata a riso diminuì, ma allo stesso tempo si ebbe una concentrazione della produzione.

La semina di riso praticata per più anni consecutivi causava una minor resa, ed anche la terra veniva impoverita.

Per questo furono abbandonate le risaie stabili e si estesero le risaie in rotazione.

trapianto piantine di riso

Iniziò la pratica della monda (eliminazione delle piante infestanti nelle risaie).

Inoltre una maggiore conoscenza dei concimi portò alla diffusione della concimazione bilanciata.

In quel periodo si diffusero anche macchine per la semina e la mietitura.

Prime trebbiatrici

Entrata in guerra dell’Italia

Con l’entrata in guerra dell’Italia i rifornimenti alimentari furono essenziali per i reparti militari.

L’Italia della prima guerra mondiale andò incontro a notevoli carenze alimentari.

Le risorse assorbite dai reparti militari furono una delle cause della modificazione nella distribuzione delle fonti di alimentazione.

Per un Paese da sempre tributario dall’estero per una parte importante dei consumi di cereali, l’inizio della guerra già nel 1914 segnò gravi difficoltà di approvvigionamento.

I primi provvedimenti presi dagli Stati belligeranti erano tesi a impedire la fuoriuscita dai rispettivi territori dei beni indispensabili.

L’intento era di crearsi delle specie di riserve strategiche.

Durante la guerra si aumentò l’estensione della coltivazione del riso, a discapito di vincoli igienici ambientali.

Non si tenne più conto del regime delle rotazioni, che si era fino ad allora adottato.

L’intervento governativo portò ad un regime di monopolio statale, che controllava acquisti e vendite attraverso requisizioni e calmieri.

Termine della 1° Guerra Mondiale

Finita la guerra l’agricoltura si trovò ad affrontare una riconversione, pur se in condizioni diverse dal mondo industriale.

La riconversione non riguardava la quantità prodotta.

Il mercato poteva assorbirla, ma piuttosto le modalità organizzative, i metodi di coltivazione, ed il regime dei prezzi dovevano seguire nuovi modelli.

Quelli fra il 1919 e il 1921 furono anni molto difficili.

Il settore del riso fu percorso da eventi che andavano ben oltre il problema tradizionale della produzione, della trasformazione e dello smercio del riso, compresi i rapporti internazionali.

Gli anni successivi alla guerra portarono in quasi tutti i settori economici produttivi delle situazioni conflittuali. Si giunse a definire il periodo come biennio rosso.

agricoltore biennio rosso

Il problema di carenza di manodopera, appena terminato il periodo bellico, portò all’utilizzo nelle campagne dei prigionieri di guerra .

Il successivo ritorno alla normalità si scontrò con numerose tensioni, su temi riguardanti il collocamento, dove si sarebbero dovuti prendere in considerazione prioritaria i lavoratori locali, allontanando i prigionieri di guerra che ancora stavano lavorando.

Molte pressioni furono fatte al fine di ottenere una diminuzione dell’orario di lavoro, una regolamentazione del lavoro straordinario e la revisione dei salari.

Accordo del 1920 sulla coltivazione del riso

La scarsa applicazione delle nuove regole causò nell’estate del 1919 altri momenti di scontro.

La seconda lotta storica dei braccianti delle campagne vercellesi culminò nella primavera del 1920 con lo sciopero più lungo della storia del proletariato vercellese, durato cinquantaquattro giorni consecutivi che si concluse con la conquista di questo accordo:
” Occupazione della mano d’opera disponibile. Allo scopo di provvedere alla occupazione della manodopera disponibile, i conduttori di fondi si impegnano di assumere, salvo nei periodi di sosta stagionale, numero otto uomini per ogni cento giornate di terreno coltivo, ivi compresi i salariati ed i membri della famiglia del conduttore, i quali lavorino precipuamente e manualmente sul fondo “.

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