Queste mole erano montate su un albero centrale che le metteva in rotazione, e potevano avere diametri diversi, a partire dalla più piccola di 80 cm sino ad arrivare a 2 metri.
Questo tronco di cono, con la base superiore rivolta verso l’alto, è circondato a 2-3 cm di distanza da un cestello di lamiera forata, costituito da diversi spicchi affiancati detti “telai”.
Mentre il cono gira, il riso entra nello spazio esistente tra il cono e il cestello forato. Tende perciò a cadere verso il basso, ma la rotazione del cono, con la sua forza centrifuga, riesce a trascinarlo fino a fargli fare parecchi giri prima di lasciarlo cadere in fondo.
In questo modo la superficie di smeriglio del cono “gratta” i chicchi e ne asporta la parte esterna.
Per evitare che l’abrasione del cono agisca sempre sugli stessi chicchi, cioè quelli che si presentano vicini alla sua superficie, tra un telaio e l’altro di lamiera forata viene inserita una striscia sporgente di gomma. Tale accorgimento obbliga i chicchi a passare forzatamente contro il cono e a rimescolarsi. La lavorazione risulta così omogenea, uguale per tutti i chicchi.