Il concetto dei Contrasti nei Piatti non si applica ovviamente solo ai risotti od alle preparazioni a base di riso, ma può coinvolgere tutte le portate della cucina, sia tradizionale che innovativa, a partire dagli antipasti, magari dagli aperitivi, fino al dolce
I Contrasti nei Piatti
Sempre più frequentemente, assistendo ad una qualsiasi trasmissione di cucina, sentiamo affermare che “… il contrasto tra dolce e salato in questa ricetta è perfetto …”, oppure “… la morbidezza di questo, unita alla croccantezza di quello …”. Insomma, cucinare piatti che contengano al loro interno molti contrasti fornisce a questi una marcia in più, eleva la ricetta ad un livello superiore.
I Contrasti nei Piatti della Cucina Tradizionale
La così detta “cucina tradizionale” propone già molti esempi di piatti che contengono al loro interno contrasti anche molto forti. “Al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere”. Ovvero quanto sia eccellente il connubio tra il dolce delle pere ed il salato del formaggio.
Gorgonzola e Mostarda, abbinamento particolarmente gradito in Lombardia e Piemonte, ma anche nelle altre regioni Italiane, con molteplici contrasti, dal dolce al salato all’acido. Le cipolline in agrodolce, preparate con zucchero ed aceto, o la salsa rossa agrodolce, sono altri esempi di ricette pensate e realizzate proprio per esaltare i contrasti dei gusti nei piatti.
I Contrasti nei Piatti della Cucina Contemporanea
Già da diverso tempo molti chef, anche di fama internazionale, si sono cimentati in “sperimentazioni” che portassero a realizzare ricette ricche di contasti, e non solo dal punto di vista del sapore, ma coinvolgendo più aspetti possibili, come consistenze, temperature, colori.
Certamente saper realizzare un piatto con molti contrasti, ma che contemporaneamente risulti perfettamente bilanciato nella sua interezza, dimostra l’abilità del cuoco, la sua sensibilità, ma anche la sua inventiva e fantasia, e certamente anche il suo “gusto estetico“.
Tuttavia l’uso dei contrasti nei piatti non si limita a dimostrare l’abilità del cuoco.
Sentire nella bocca un amalgama perfettamente equilibrato di salato, acido, dolce, amaro, ma anche morbido e croccante, e magari caldo e freddo assieme, rende l’esperienza di degustare un piatto certamente più “interessante”, soprattutto più “stimolante”, di una preparazione insipida e monotona . Attenzione: monotona non vuol dire preparata con un solo o pochi ingredienti, vi sono proposte di ricette stellate che si concentrano anche su un solo ingrediente, ma preparato, cucinato e presentato con tutti i contrasti possibili.
Come si ottengono, quindi, i contrasti nei nostri piatti, che rendano “esaltanti” le nostre ricette, evidenzino i sapori dei nostri ingredienti, e ci portino magari anche a vivere una vera e propria “esperienza” di degustazione e coinvolgimento dei sensi?
Nel linguaggio comune i termini “sapore” e “gusto” vengono spesso utilizzati come sinonimi. In effetti bisognerebbe riferirsi al “gusto” come l’organo destinato alla percezione, come l’olfatto o la vista, mentre il “sapore” è relativo alla sensazione che proviamo assaggiando un alimento (salato, dolce, ecc.), ma nell’ambito di questo articolo ci atterremo all’uso comune, ovvero trattando gusto e sapore più o meno come sinonimi, appunto.
Dolce, Salato, Amaro, Acido e Umami
I cinque gusti fondamentali sono Dolce, Amaro, Salato, Acido e Umami, ed è dalla combinazione e dalla “quantità” di questi, unitamente ad altre sensazioni, che siamo in grado di percepire una quantità enorme di sapori differenti, piacevoli o meno, ed in modo più o meno differente per ogni essere umano ( “ … per me è salato … no, per me va bene … è molto amaro … no, si sente appena, è buono … ecc.).
Non occorre soffermarsi troppo sui 5 gusti, ma un paio di curiosità possono essere interessanti.
Il Dolce
Al contrario del salato, che sostanzialmente è indotto dal cloruro di sodio, il gusto dolce ha molte origini, e può essere ritrovato in tantissimi alimenti. La forma più comune, ovvero il saccarosio, si presenta in forma di cristalli, solitamente bianchi, derivanti principalmente dalla canna o dalla barbabietola da zucchero.
Un diffuso ed usatissimo elemento alternativo è il miele, ma sono reperibili moltissime altre alternative, anche prodotte in laboratorio, come ad esempio l’aspartame, l’isomalto, e la saccarina, che tuttavia, spesso, lasciano dei retrogusti non sempre apprezzati.
Il Salato
Il gusto “salato“, in cucina, è fondalmentamente fornito dal cloruro di sodio, comunemente detto appunto “sale da cucina”. Tuttavia, a basse concentrazioni, il gusto percepito è esattamente l’opposto, ovvero “dolce”, e lo si può sperimentare aggiungendo via via minuscole quantità di sale ad un bicchiere d’acqua, ed assaggiandolo. E’ poi noto che nella preparazione di alcuni dolci è previsto l’utilizzo di una modesta quantità di sale, che “spinge” la sensazione di dolce.
L’Amaro
Di primo acchito si potrebbe pensare che il gusto amaro sia spiacevole, da evitare nella preparazione dei nostri piatti. Eppure molte ricette contemplano l’utilizzo di ingredienti che aggiungono questo sapore, anche per contrasto al dolce, ed addirittura apprezziamo assumere alimenti o bevande totalmente amare.
Pensiamo ad esempio al caffè, che molti bevono senza zucchero, od a liquori che, per definizione, sono amari, ma anche al cioccolato fondente od al cacao, certamente amari, ma fondamentali nella preparazione proprio di moltissimi dolci.
L’Acido
Come per l’amaro, anche il gusto acido potrebbe subito far pensare a qualcosa di sgradito. Eppure, opportunamente dosato, è un gusto spesso indispensabile, sia per bilanciare il dolce, sia per esaltare altri sapori.
Una semplice lattuga, opportunamente condita anche con qualche goccia di aceto o di limone, è normalmente più gradita di una del tutto scondita, e moltissime ricette, senza la nota agre, non sarebbero proprio realizzabili, come, ad esempio, la tartare od il carpaccio. E’ bene tener anche presente che il succo di limone previene l’ossidazione, sia delle carni che dei vegetali, sia frutta che verdura, e che può essere utilizzato come metodo alternativo di cottura, almeno sotto certi aspetti.
L’umami
Un gusto un po’ meno conosciuto è “l’umami“, identificato nel nel 1908 dal giapponese Kikunae Ikeda, o per meglio dire, un gusto un poco più difficile da individuare come singolo, rispetto agli altri.
La traduzione di umami è “saporito“, un termine non bene collocabile nella nostra tradizione culinaria. Spesso definiamo come saporito un piatto abbastanza salato, mentre un ingrediente od un piatto contenente umami dovrebbe essere definito come “sapido“, ricco di sapore. Tale ricchezza di sapore è fornita dal glutammato, che, ad esempio, troviamo nei dadi da brodo (per definizione esaltatori di sapidità, appunto), ma anche nella carne, nei formaggi stagionati, nei funghi secchi, e persino in pomodori maturi.
Gli studi sui sapori sono in costante evoluzione, tanto che oltre ai 5 fondamentali alcune ricerche ne avrebbero individuati altri, ma per lo scopo del nostro articolo non è necessario approfondire ulteriormente.
Il Piccante
Vale la pena di considerare anche la sensazione del piccante. In effetti non si tratta propriamente di un gusto. La capsaicina, contenuta nei peperoncini, la piperina presente nel pepe, ed altre sostanze simili, in effetti stimolano i “sensori” del calore, ed in effetti, quando mangiamo queste sostanze, sentiamo un certo bruciore, sia sulla lingua che sulle mucose della bocca, fino all’interno del naso.
Anche in questo caso si tratta di una sensazione che provoca giudizi totalmente differenti nelle persone. C’è chi ama i cibi fortemente piccanti e chi non li sopporta affatto, al punto da non riuscire ad ingerirli. Teniamo anche presente che la forte sensazione di piccante tende a “mascherare” il sapore degli altri ingredienti dei nostri piatti, o quanto meno ad alterarli notevolmente.
Sta dunque alla sensibilità di chi cucina saper dosare opportunamente le sostanze piccanti, che se opportunamente utilizzate esaltano determinati sapori, ad esempio pensando ad un succulento piatto di Goulash od alla Soppressata Calabrese.
L’essere umano ha dunque la capacità di percepire i gusti e distinguere infiniti sapori. Sostanzialmente ciò ci serve (ed un tempo molto di più) a determinare se quello che pensiamo di ingerire sia utile o dannoso al nostro organismo. Ad esempio, generalmente, una sostanza dolce è calorica, mentre una fortemente amara potenzialmente sarà tossica.
Ma non solo: può capitare che, in un dato momento, abbiamo un forte desiderio di consumare del formaggio stagionato, di mangiare una bella, succulenta, bistecca, sbucciare ed assaporare un’arancia od una mela.
Certamente possono esistere fattori psicologici che determinato certi desideri, ad esempio un bel cucchiaio di cioccolata può indurre una sensazione consolatoria od appagante.
Gli stimoli alimentari
Tuttavia, gli stimoli alimentari ai quali siamo sottoposti possono anche essere dei “segnali” che il nostro corpo ci invia. Abbiamo voglia di una pietanza “saporita”, magari un po’ salata? Forse siamo un po’ carenti di minerali. Ci viene l’acquolina in bocca solo pensando ad un bello e semplice piatto di spaghetti al pomodoro? Potrebbe essere che il nostro corpo debba reintegrare ferro, azoto e fibre.
Forse non esistono studi scientifici conclusivi su tale argomento, ma il semplice buon senso ci induce a ritenere che, almeno a volte, le nostre “voglie” abbiano una base più che fondata dagli stimoli che il nostro stesso corpo ci propone.
E’ comunque auspicabile che ognuno di noi si alimenti in maniera equilibrata, variando il più possibile gli alimenti che ingerisce, e che quindi, anche senza scomodare un nutrizionista, assuma tutte le sostanze, e nella giusta quantità, delle quali il nostro corpo ha bisogno.
Contrastare la noia nei piatti
Però l’essere umano è, per sua natura, curioso, desideroso di nuove esperienze che portano nuove conoscenze, in tutti i campi, anche in cucina.
La mancata soddisfazione della curiosità, in effetti, comporta la noia. Pensate di dover consumare, tutti i giorni, a pranzo e cena, sempre lo stesso piatto, assolutamente salutare, con tutte le componenti necessarie al nostro corpo e perfettamente bilanciate. Magari all’inizio lo troveremo anche buonissimo, ottimamente preparato e cucinato, ma dopo quanto cominceremo a detestarlo, a non poterne più, a provare quasi repulsione al solo vederlo?
Ecco il perché, oltre a necessità oggettive, quali ad esempio la disponibilità di materie prime, esistono infinite ricette per cucinare uno stesso ingrediente. Pensate solo a come si possono preparare e servire le uova, e magari a quanto le detesteremmo se ci fossero sempre e solo servite sode.
Da qui il significato e l’importanza dei contrasti nei piatti. Anche sedendoci a tavola con un forte e “sano” appetito, magari dopo un’attività fisica piuttosto intensa, dopo un ottimo primo piatto, delle “giuste” proporzioni, cominciamo a pensare al secondo, con il suo contorno. E dopo questo, forse, pensiamo anche al dolce.
La sazietà specifica ed i contrasti nei piatti
Si tratta, in effetti, del concetto di “Sazietà specifica”. Proprio perché il corpo umano è una “macchina” estremamente complessa, che necessita (e consuma) molteplici elementi per il suo funzionamento, noi esseri umani siamo indotti ad ingerire alimenti diversi, che contengano elementi diversi, e che, ovviamente, hanno sapori diversi. E non solo sapori, ma anche consistenze, temperature, colori ed odori diversi.
Quindi, come già citato, un piatto “fantasioso“, “strutturato“, che contenga più contrasti possibile, ci risulterà particolarmente gradito.
Sempre prendendo ad esempio le semplici ed umili uova, pensate alla differenza tra mangiarle sode con solo qualche granello di sale per condimento.
Oppure sempre sode, ma tagliate a fette e con un cucchiaino di maionese sopra.
Se poi ad una parte della maionese aggiungiamo un po’ di capperi tritati, avremo due uova sode dai sapori ben differenti.
E possiamo aggiungere ad altra maionese del tonno: siamo a tre spicchi di uova sode dai sapori assolutamente distinti. Da qui in poi il limite è solo la nostra fantasia (beh, anche il nostro buon gusto, non tutti gli abbinamenti producono risultati gradevoli).
Conclusioni
Quindi, sia che prepariate un risotto tradizionale, o che vi stiate cimentando nella realizzazione di un “riso al …”, ispirato dalla vostra fantasia, è sempre opportuno tenere in considerazione quali e quanti contrasti inserire nei nostri piatti.
Per i risotti (ed in genere per i piatti) tradizionali l’operazione è un po’ più difficile, specie se volete seguire scrupolosamente la ricetta originale, magari descritta nel relativo “disciplinare”.
Considerate comunque che le ricette che hanno meritato di diventare “tradizionali” contengono già, al loro interno, gli opportuni “contrasti” (fagioli frullati ed interi, componenti dolci e salate, la “spinta” di una punta di peperoncino, ecc.), e quasi sempre una “opportuna” presentazione (od impiattamento, per usare un termine moderno) fornisce il contrasto visivo e cromatico sufficiente.
La cucina è (anche) sperimentazione, cucinare è anche scienza, ma spesso è fantasia, e per molti rasenta l’arte. Spesso però i migliori risultati scientifici od artistici si raggiungono dopo aver commesso molti errori ed approssimazioni, che non devono assolutamente scoraggiarci: solo osando scopriremo “il nuovo” e potremo raggiungere grandi soddisfazioni.